Mutuo fondiario per ristrutturazione di passività pregresse

Mutuo fondiario

Sì al mutuo fondiario finalizzato alla ristrutturazione di passività pregresse. La condizione a determinare il parere positivo della Corte di Cassazione, però, deve essere la sua capacita di favorire il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa.

Dalla Cassazione parere favorevole

La Corte di Cassazione, di recente, si è espressa in merito all’annoso problema della individuazione delle norme applicabili in caso di erogazione di un mutuo fondiario quando esso è finalizzato alla parziale estinzione di passività pregresse. I mutui rappresentano un argomento di grande attualità e interesse, siano essi finalizzati all’acquisto di prime case siano essi indirizzati, invece, ad imprese. Un interessante approfondimento su questo tema è offerto dal portale fissovariabile.it, nato proprio con l’obiettivo di fornire informazioni chiare, precise e dettagliate su un argomento spesso ostico eppure di grande impatto nella quotidianità di molte persone.

Un caso che farà storia

Il caso su cui la Corte ha deliberato riguardava il caso di un’impresa debitrice che è poi fallita. A questa azienda è stato riconosciuto un affidamento bancario chirografario pari a circa 190 mila euro. in questo caso, quindi, l’esposizione era pari a 200 mila euro e il mutuo affidato dall’istituto di credito era pari, in totale, a 300 mila euro. La durata del finanziamento era di 10 anni e l’affidamento è stati ridotto a 50 mila euro. contrariamente a quanto stabilito dalla Corte d’Appello, la Suprema Corte si è espressa, in via preliminare, sottolineando che “il mutuo destinato all’estinzione di debiti pregressi, senza creazione di nuova liquidità, per quanto inefficace nei confronti della massa, è da considerare comunque in effetti sorretto dalla volontà dei contraenti – costituendo dunque un atto voluto e non simulato”.

Le ragioni della Cassazione

Fatta questa premessa, come evidenzia in un articolo sul tema il professore Sido Bonfatti, Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia, la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione è che in merito al caso sottoposto a giudizio è necessario “riconoscere, poi, a differenza di quanto accade per i casi di simulazione, il diritto del mutuante di insinuarsi al passivo quanto alle somme erogate in vista dell’estinzione del debito preesistente ma in chirografo, attesa la revocabilità dell’ipoteca. La quale, da questo punto di vista, rimane insensibile alla fattispecie di consolidamento prevista dall’art. 39 del d.lgs. n. 385 del 1993, stante che la revocatoria finisce con l’attingere non (atomisticamente) l’ipoteca in sé, ma l’intero procedimento negoziale indiretto (leggibile in termini di collegamento) nel contesto del quale è coinvolto il mutuo su cui l’ipoteca si fonda”. Tra l’altro, la Corte di Cassazione evidenzia che questo caso è ben distinto dall’operazione di “rifinanziamento del debitore” e non possono essere considerate affini.

I perché di una sentenza

La Suprema Corte è stata spinta a questa risoluzione sulla base di alcune considerazioni. La prima è che l’operazione in questione prefigura il “ricorso al credito come strumento di ristrutturazione del debito”, dando vita a una “condizione che in sé, involgendo ambiti di diffusa economia reale e meritevolezza causale ormai tipicizzata, non può assumere alcuna riprovevolezza ordinamentale, nemmeno sul piano concorsuale”. Alla base di questa trasformazione deve però esserci la pretesa che – come sottolinea Bonfanti – l’operazione di “rifinanziamento” comporti la concessione di “nuova liquidità”. Queste nuove considerazioni evidenziano i limiti della dottrina sino a oggi utilizzata come riferimento per tutto ciò che riguarda le operazioni di ristrutturazione del debito.

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